Le birre IGA, prodotte con l'uva: conosciamole meglio con Alessandra Di Dio


L'acronimo IGA sta per Italian Grape Ale. Insieme ad Alessandra, abbiamo cercato di conoscere meglio queste birre tanto particolari, che si avvicinano al vino senza perdere la particolarità brassicola. Catalogate come Fruit Beer, condensano l'originalità del mondo delle birre artigianali con la secolare cultura vinicola.


Intervista a Alessandra Di Dio
giornalista freelance
 e Ufficio Stampa Villaggio della Birra,
a cura di Giada Giupponi.
Riproduzione consentita citando autrice e fonte.



- Sono nate da poco le IGA, le birre prodotte dal mosto dell'uva. Si legge che è una tipologia di birra di produzione italiana, ma è proprio così? Puoi raccontare come è nata e da che spunti si è sviluppata?

Più che nate da poco, direi che il loro riconoscimento è recente. Sono diventate uno stile solo nel 2015, grazie al BJCP (Beer Judge Certification Program) e a Gianriccardo Corbo (presidente di Movimento Birrario Italiano e giudice BJCP) che ha colto la vocazione italiana per l'uva nella birra e l'ha riportata a questa organizzazione statunitense, che detta legge sugli stili e che certifica gli aspiranti giudici nei concorsi birrari. Aggiungere l'uva alla birra è una tendenza tutta italiana che ci ha messo ben undici anni per essere definita "stile birrario"... oltre che per farsi amare da un pubblico che non è più solo di nicchia! Infatti le IGA in Italia esistono già dal 2006, ma grazie a questo riconoscimento e al fatto che molte persone le definiscono come trait d'union tra birra e vino stanno incuriosendo un pubblico sempre più vasto. Ma ci tengo a dire una cosa: le IGA per essere davvero tali deve assolutamente restare birra, e non sbilanciarsi sul vino... altrimenti, è solo un esperimento venuto male.


- C'è già un disciplinare di riferimento per le birre IGA?

Il BJCP aiuta a capire di che cosa stiamo parlando. Ma non dà delle direttive, infatti c'è moltissima libertà nella produzione di IGA. È il birraio che decide quale uva usare, come e, a qualcuno può sembrare banale ma non lo è, quanta impiegarne in proporzione alla birra. Abbiamo un'enorme ricchezza di vitigni in Italia per cui già soffermandoci sul primo punto possiamo immaginare come le IGA possano essere diverse tra di loro. Mettici anche che la protagonista, l'uva, può essere usata come frutto al naturale, mosto muto, sapa, mosto fermentato o è possibile adoperare anche solo le vinacce. E poi c'è la birra base, cui l'uva nelle sue mille forme viene aggiunta...
Per capire meglio, dall'8 al 10 settembre, al Villaggio della Birra prova queste due birre: la BB6 di Barley e la Spontaneous di Toccalmatto. Fanno parte dello stesso stile, ma dire che tra le due si riscontrano delle somiglianze formali è arduo.


- Per produrre le IGA si utilizzano ingredienti di derivazione animale? Un'informazione importante per chi ha fatto una scelta vegana, come me, e vuole sapere se poter guastare questa novità o dover capire se per alcune si usano e per altre no.

In linea di massima, no, le IGA non usano ingredienti di derivazione animale e mi sentirei di escludere questa possibilità quasi del tutto. Però, nulla impedisce di fare una chiacchierata con il birraio, intanto per capire qualcosa di più di quel che sta versando nel nostro bicchiere, ma anche per domandargli se la sua birra è vegan friendly.

- La produzione delle IGA vede un interesse esclusivo dei produttori o c'è la tendenza a produrle come scelta complementare delle birre artigianali "classiche"?


Diciamo che, in genere, fare una buona IGA non è facile. Come dicevo prima, trovare la quadra tra due bevande così diverse come birra e vino è una cosa da equilibristi!
Per cui chi riesce in questa impresa e viene apprezzato, spesso ci riprova una seconda volta, e ancora, e ancora... ma nessuno birrificio hai mai ancora pensato che potesse essere l'unica strada percorribile.


- Il primo festival di birra IGA è stato organizzato in Toscana, come Villaggio di Birra, uno dei primi festival italiani dedicati alla birra artigianale. È solo una coincidenza?

Il Villaggio della Birra ha organizzato Campi di Birra (dal 28 al 30 aprile scorso, a Villa Montalvo di Campi Bisenzio, primo festival di IGA in Italia) perché è importante aprire un confronto tra chi si sta cimentando con questo stile. Tra i partecipanti c'era chi punta molto sulle IGA, come Barley, che troverai anche a settembre al Villaggio della Birra 2017 e che è stato il primo in Italia a fare una birra con il mosto d'uva, e birrifici invece "emergenti", come Ca' del Brado, un bellissimo e romantico progetto che si definisce "cantina brassicola" e che io personalmente continuerò a seguire da vicino, così come farà il resto dello staff del Villaggio.
Il Villaggio della Birra è innanzitutto un luogo in cui conoscersi, approfondire e sentire pareri anche diversi dal tuo. È così il festival, lo è da 12 anni e così sono anche gli eventi collaterali, come appunto Campi di Birra o il Villaggio della Birra Belgian Edition, il primo festival italiano di birra artigianale a valicare i confini nazionali e ad approdare nelle Fiandre, precisamente a Sint Truiden. Di quest'ultimo lo staff va particolarmente fiero, e ti dico la mia verità: come giornalista freelance e appassionata seguo molti eventi dedicati alla birra ma a fine giugno, in quel paesino minuscolo quasi nascosto dai ciliegi, c'era un'atmosfera che difficilmente trovi in altre occasioni.
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